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Sguardi nel Territorio

2014

Per una nuova geografia delle Marche

 

 

L’odierna rappresentazione cartografica delle Marche individua i diffusi insediamenti attraverso gli stessi nomi attribuiti già nel secolo scorso e non così difformi dalle prime mappe regionali a partire dal XVI secolo.  

Chi volesse farsi un’idea delle Marche attraverso la cartografia sarebbe portato così ad immaginare un terriyorio fondamentalmente statico, pur soggetto ai processi di inurbamento costieri e vallivi che hanno coinvolto tutta l’Italia specie negli ultimi 50 anni.

La sensazione che l’identità rurale delle Marche sia un sottofondo costitutivo e inattaccabile sembra radicata anche in chi si occupa di pianificazione territoriale.

E’ come se questo sottofondo sia in grado comunque di sorreggere ed assorbire ogni alterazione, ogni azione sconsiderata di consumo di suolo. Per quanto le città crescano in modo incontrollato, per quanto le nuove infrastrutture impattino sui paesaggi vallivi c’è quel mare di colline, di centri storici e di campi che conservano inalterata la marchigianità del territorio.

Il fraintendimento che deriva dall’essersi adagiati su un’idea del territorio superata ed errata, ma comoda, porta ad una elaborazione di strategie di governance ed a strumenti di pianificazione fatalmente estranei alla realtà e incapaci di vedere le vere esigenze e potenzialità del territorio.

In verità il recente processo di urbanizzazione ha determinato una rete insediativa pressochè continua che ha occupato la fascia costiera e le valli e che ha ricomposto la rete storica, più rada ed omogenea, dei centri collinari.

Ciò ha dato, e sta dando, forma ad un sistema complesso di città-territorio dove emergono alcune parti più dense. Situazioni in cui sia fisicamente che per effetto della fittezza di relazioni funzionali, si formano e si riconoscono nuove entità. Sono entità senza nome, perché la cartografia parla ancora dei vecchi paesi che ne fanno parte, ma che esistono, funzionano, si strutturano come entità riconoscibili...

 

ATTI DEL CONVEGNO 2014

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Se si fa riferimento agli sguardi che sin qui si sono posati sul territorio marchigiano, soprattutto a partire dall’ultimo cinquantennio, si vede la coincidenza tra una frattura e
l’invenzione della città adriatica.
Qual è la frattura cui indirettamente corrisponde, direi storiograficamente, la città adriatica?

Coincide con la fine del motivo

(che è tutto novecentesco ma che inizia dalla teoria dei climi di Ippocrate e poi arriva fino a Giacomo Leopardi) che Giorgio Mangani qualche anno fa ha esplorato:
il tema della medietà e della mediocrità della regione
marchigiana.
Una medietà e una mediocrità, aurea magari, che fa riferimento ad una storia territoriale che non soltanto è squisitamente mediterranea ma che poi presenta anche delle caratteristiche molto specifiche.​

 

Franco Farinelli

2015

La riduzione delle città:

il destino della conurbazione adriatica

 

Tra gli effetti più macroscopici, ma meno considerati, della crisi economica del terzo millennio, è lo sconvolgimento delle ragioni che hanno determinato l’attuale assetto insediativo nel territorio.

Le città di riducono, lasciano al loro interno dei vuoti fatti da aree dismesse, quartieri abbandonati che mutano in ghetti dove prende dimora una povertà con la quale questa generazione non aveva mai convissuto.

Nella realtà marchigiana questo presente delle città si manifesta nella conurbazione costiera, cresciuta per ospitare le genti dell’interno che qui sciamarono, attratte dal boom industriale, e che oggi, col crollo del manifatturiero, tornano a guardare ai loro borghi di origine senza però che una politica consapevole sappia tradurre questa nostalgia in una concreta speranza per il futuro

Le città muoiono. Incapaci di ristrutturarsi, di reggere il passo delle città nordeuropee, le nostre città si deprimono.

I vuoti urbani sono anche e soprattutto vuoti della comunità civile.  Eppure le città furono costruite attorno ai loro “vuoti”, come le piazze, i cortili, i viali, i mercati… spazi che oggi appaiono oggi disertati o ridotti – nella migliore delle situazioni – a scene per l’ambientazione di elementi di arredo urbano.

La gente vive chiusa in casa e nelle auto, o “attraversa” la città nascosta dietro occhiali da sole e smart phones. I bambini non giocano più negli spazi aperti, non ne conquistano le aree di risulta. Sempre meno anziani passano il tempo nelle panchine dei giardini pubblici o davanti ai circoli. Al loro posto si diffonde la marginalità sociale: quelle presenze invisibili capaci di diffondersi in modo pervasivo tanto da alimentare quel senso di insicurezza e di paura che costituisce oggi la sensazione fondamentale del vivere in città e in non-senso della città.

Mentre la politica attende che si faccia avanti il prossimo piazzista di centri commerciali o di altri stravaganti investimenti privati di qualsivoglia (anche dubbia) origine, noi ci chiediamo se questa che si presenta non sia un’occasione per ripensare alla città in modo positivo.

ATTI DEL CONVEGNO 2015

2016

Il futuro delle aree interne:

la rinascita dei paesi e delle terre dell'appennino

 

Da alcuni anni, e sempre con maggiore incisività, si parla delle aree interne in termini di possibilità invece che di problema, come era stato per tutto il ‘900.

Nelle Marche, dove il modello industriale dell’insediamento produttivo diffuso aveva dato una parziale risposta al problema dello spopolamento dei paesi della fascia appenninica, la crisi ha coinciso con la scomparsa dei distretti e la sconfitta di quel modello. Nonostante le conseguenze sociali drammatiche che colpiscono le aree dove l’industria aveva maggiormente fornito risposte occupazionali, come il fabrianese o l’entroterra maceratese, sembra affermarsi un senso di fiducia nelle capacità di recuperare occupazione attraverso un percorso di sostituzione dell’economia secondaria con la tradizionale economia primaria, integrata dal valore aggiunto del turismo e della produzione energetica da fonti rinnovabili.

(...)

 

Si pongono allora nuove domande: E’ forse troppo semplicistico e/o nostalgico guardare alle aree interne come ad una nuova Arcadia felice? L’alternativa rurale esiste davvero? ..In altri termini: esiste oggi una società che può dirsi davvero “rurale” o i modi del vivere e del consumare sono ormai gli stessi in città come fuori della città? La destrutturazione delle aree interne e la proiezione verso le sole economie del turismo, della cultura classica e della produzione agricola di qualità non segnano forse un’ancora maggiore dipendenza dell’area montana rispetto alla conurbazione adriatica? Non rischiamo di trasformare l’Appennino in un grande parco vacanze per lo svago ed il ristoro di chi è ancora più profondamente asservito alle logiche del produttivismo esasperato e dell’economia globalizzata? Non è questa immagine di alternativa ambientalista, di green economy, che viene associata al futuro delle aree interne un’immagine solo retorica, perfettamente funzionale al Sistema che sembra apparentemente contraddire?

ATTI DEL CONVEGNO 2016

2017

Labor aeternum:

la ricostruzione e l'identità degli abitanti dell'Appennino centrale

 

Negli ultimi anni si è molto discusso attorno al paesaggio sottolineando l’importanza di tutelarne gli aspetti propri della tradizione, come testimonianze della cultura storica dei luoghi, dagli effetti omologanti della globalizzazione economica e sociale.

Alcune voci hanno segnalato il rischio che si sia formata una “ideologia delle aree interne”, intrisa di elementi di nostalgia e di ipocrisia, in cui vengono a coincidere gli ambiti di valore, da sottoporre a tutela, con quelli di fatto meno appetibili ai processi di speculazione immobiliare, per cui alla conservazione quasi museale delle aree interne corrisponde l’ulteriore liberalizzazione nei processi di trasformazione delle aree più urbanizzate, laddove – ancor prima della recente crisi economica – si concentravano le attenzioni del mercato dell’edilizia, che in effetti non ha opposto sostanzialmente resistenza all’affermarsi dell’opzione consumo di suolo zero.

Il terremoto ha aggiunto drammaticità ed urgenza nel dibattito attorno al destino degli insediamenti appenninici dopo la crisi del modello industriale diffuso.

Quale ricostruzione  per quale paesaggio? Che comunità abiteranno – se ritorneranno ad abitare – ed in che modo le valli ed i poggi delle aree interne, dopo la distruzione repentina dei luoghi di lavoro, delle case, dei tesori d’arte e di storia che legavano le genti di montagna alla loro terra?

Si profila lo spettro di una fase terminale di abbandono. Un fenomeno epocale a cui non eravamo e non siamo preparati.

(...)

Come ricostruire? Per chi? Quali comunità ri-formare? Quali economie, quale lavoro? Che tipo di cultura sarà posta all’origine del processo di re insediamento dell’appennino?

Tra un anno partiranno i cantieri della ricostruzione. Allora sarà troppo tardi per dare risposte a queste domande e avremo perso l’ultima occasione per dare continuità alla Storia.

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ATTI DEL CONVEGNO 2017

Attraverso approfondimenti successivi, sfogliando i diversi strati, è emersa una sequenza di città, di diverse città che nella loro sovrapposizione, nelle loro interrelazioni, configurano la dimensione metropolitana di questo territorio.
Troviamo un sistema infrastrutturale poderoso che permette alla città adriatica di funzionare molto meglio al suo interno che nei suoi rapporti con i flussi internazionali. Un sistema produttivo che a partire dagli inizi del Novecento fino alla fine del Duemila ha continuato a diffondersi nelle aree pianeggianti. La strada-mercato, già evocata da chi mi ha preceduto, che ha costituito un altro elemento di forte innovazione territoriale; gli spazi della dismissione che nel corso degli ultimi anni sono sempre più emersi come risorsa territoriale e rimessi
in gioco.

Il sistema reticolare delle università, fondamentale per una metropoli. Il sistema dei parchi fluviali, a cui per molto tempo le comunità hanno volto le spalle, ma che oggi si ripropongono come uno dei pochi elementi di unitarietà del territorio, capace di costituirsi come spazio pubblico territoriale e di legare i sistemi ambientali appenninico e adriatico. (...)

Questi sistemi, se sovrapposti e riletti in maniera astratta, danno luogo a mappe metropolitane analoghe a quelle delle grandi città internazionali, in cui l’evidente stratificazione di geografie, di insediamenti, di grandi e piccole infrastrutture, di stazioni, porti ed aeroporti, conferma l’ipotesi dell’esistenza di una città adriatica.

Marco D'Annuntiis

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L’Italia è un miracolo…

le Marche sono un miracolo.

Avere in ogni paese questa roba qui (la chiesa elSS.Sacramento, con gli affreschi del ‘400) è una cosa che ...  ogni marchigiano dovrebbe inginocchiarsi ogni giorno.

Ogni mattina chiedersi “ma io che cosa ho fatto per meritarmi questa cosa?”…che posso andare in un giorno a Camerino, a San Severino...a Fermo, a Moresco…ogni giorno, anche a piedi o in bicicletta.

E’ una cosa commovente...

Voi dovreste piangere di gioia.

Abbiamo bisogno di contadini, di poeti,

di gente che sa  fare il pane,

di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.
Bisognerebbe stare all’aria aperta almeno due ore al giorno. 
Ascoltare gli anziani, lasciare che parlino della loro vita. 
Costruirsi delle piccole preghiere personali e usarle. 
Esprimere almeno una volta al giorno ammirazione per qualcuno. 
Dare attenzione a chi cade e aiutarlo a rialzarsi, chiunque sia. (...)

Oggi essere rivoluzionari
significa togliere più che aggiungere,
significa rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio,
al buio,

alla luce,

alla fragilità,

alla dolcezza.

Franco Arminio

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Temo che la “ricostruzione” possa rivelarsi una seconda distruzione, dopo quella prodotta dal terremoto.  Comunque, tentare ancora il dominio di separate parti di mondo vorrebbe dire non vedere la solitudine e la miseria del nostro tempo: vorrebbe dire non sapere.  Occorre fare ritorno alla nostra vera casa, la casa alla quale, nascendo, la filosofia di rivolge, scorgendo che ogni cosa è l’inevitabile compagna di ogni altra cosa.

Amos Masèo

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